1870 ci troviamo vicino ad un maestoso anfiteatro romano che ha resistito fino ad oggi e si erge a testimonianza di un’epoca passata e mai dimenticata.
Siamo in Italia e quella davanti a noi è l’arena di Verona.
Soffermandoci sui suoi archi non ci accorgiamo che in quel momento un giovane sta sfrecciando in sella ad una bicicletta, dalla sua uniforme, quel ragazzo è un pasticciere e si ferma davanti ad un edificio storico con la serranda ancora abbassata, venendo avvolto da una nuvola di farina si infila nel negozio di famiglia, il suo nome è Domenico Melegatti.
Il giovane Domenico passa le giornate immerso nei profumi della pasticceria di famiglia, lavora notte e giorno scontrandosi sempre con quell’incallito tradizionalista di suo padre che guida la pasticceria con pugno di ferro.


Domenico propone sempre più spesso ricette innovative, strani metodi di cottura e di imballaggi bizzarri.
Il padre, legato alla tradizione, il più delle volte respinge le proposte del figlio, concedendogli però delle piccole vittorie che lo stuzzicano e lo fanno appassionare sempre di più.
Partecipa all’attività di famiglia, segue minuziosamente le ricette del padre come le ricette prescritte da un dottore ai suoi pazienti, ma li, nella sua stanza senza finestre, nel retro della pasticceria, si sente libero di esercitarsi, si allena alle sue nuove ricette, al momento della verità.
Ed il momento della verità arriva nel 1873, molti indipendentisti hanno portato all’unificazione del Regno d’Italia e anche Verona e sotto la guida di Savoia, proprio in quegli anni, il padre di Domenico viene a mancare e l’ormai ventinovenne pasticcere è chiamato a guidare l’azienda di famiglia.
Alle prime luci dell’alba si veste con meticolosa maestria, si aggiusta il cappello da pasticcere ed è pronto per scendere in battaglia per scoprire i desideri dei suoi clienti, ogni acquisto diventa un qualcosa su cui riflettere e negli anni il suo fervido cervello ha immagazzinato una quantità enorme di informazioni.
È la vigilia di Natale, la luce dell’alba si mischia con quella della tradizione. Una delle giornate più caratteristiche ed importanti dell’anno. In pasticceria c’è un grande fermento, la fila di gente è fuori dalla porta. Uno degli argomenti più diffusi tra gli avventori riguarda un dolce particolare della tradizione veronese, cucinato dalle donne della comunità che si riuniscono proprio quel giorno, la sera della vigilia di Natale. È un impasto semplice ma molto ricco “Il Levà”.

Plinio il Vecchio descrive un dolce di consistenza dorata con fior di farina burro ed olio
Domenico sente quella parola centinaia di volte mentre impasta ed inforna i suoi dolci. Non può fare a meno di pensare a quel dolce così specifico per le festività natalizie, se solo riuscisse a creare una dolce tradizione che si può comprare solo nel suo negozio. Quel pensiero non lo abbandona per tutto il giorno e la sera, quando rientra a casa, vede le donne della sua famiglia che si sono ritrovate proprio per cucinare. Gli ingredienti sono sparsi sul tavolo della cucina e mentre li guarda, Domenico ha un’illuminazione. Quel dolce è troppo facile e non è neanche così buono. Tutti, più o meno possono riuscire a farlo a casa, se vuole creare un dolce lo deve fare impossibile da replicare e deve essere irresistibile sia alla vista che nel gusto. Con quel pensiero Domenico passa un Natale irrequieto, immerso nella sua mente lavora senza sosta per il prossimo Natale a Verona.
Tutti mangeranno il suo dolce, questa è la promessa che fa.
Comincia così una serie infinita di esperimenti e di fallimenti che portano il nostro protagonista a rinchiudersi nella pasticceria notte e giorno. Lo scopo è quello di progettare un dolce che possa far accrescere ancora di più la forma della sua pasticceria. Domenico decide di partire proprio dalla “Levà” di togliere tutti quegli ingredienti pesanti che impediscono una lievitazione ottimale, il suo dolce deve essere imponente, altissimo e leggerissimo. Più facile a dirsi che a farsi, alcune volte il dolce è troppo basso, altre si brucia i lati, altri invece ha un sapore tutt’altro che buono.
La sua pasticceria ormai è diventata un campo di battaglia, stampi materie prime sono sparsi in disordine per tutto il laboratorio e il suo corpo molto spesso si accascia sui sacchi di farina.
Una sera qualcosa di diverso accade. Domenico sta pulendo il pavimento, sta aspettando di sfornare la sua ultima prova, stavolta ha abbondato con il lievito, con le uova e anche con il burro, ha usato uno stampo a stella in modo che il calore venga convogliato uniformemente in tutto l’impasto. È ormai mattina quando, dopo ben 36 ore tra preparazione e cottura, Domenico apre lo stampo per ammirare il risultato del suo lavoro alto, leggerissimo e con un bel colorito dorato per renderlo davvero irresistibile.
Sì, possiamo provare a venderlo e ne prepara una decina. Nella pasticceria Melegatti l’aroma del dolce si sprigiona in tutte le stanze, i dolci sono pronti per essere messi in vendita e sono raggruppati sotto la finestra in attesa che gli impiegati li portino nel bancone per la vendita.


Un garzone che passa di lì e attirato in cucina da quel profumo prelibato, aprendo la porta, vede questi monoliti stellati baciati da un raggio di sole che ne accentua i riflessi dorati. Il nostro giovane aiutante è sopraffatto dalla fame, tanto da non credere ai propri occhi e una visione ed esclama in perfetto accento Veneto “l’è pan de oro”. Domenico assiste alla scena e non può fare a meno di essere d’accordo con il suo giovane aiutante, ed ecco il nome che metterà. In quel preciso momento è nato il PANDORO.
Ed ecco la sua creazione, bella e infiocchettata, il dolce delle feste, alto, imponente ma allo stesso tempo leggerissimo, semplice e goloso. La voce si sparge in tutta la città.
Il pandoro viene acquistato per tutti gli eventi importanti e un dolce per le occasioni speciali. La sua grande difficoltà realizzativa fa in modo che ci sia un solo posto dove acquistarne uno. La pasticceria Melegatti.
Quando dico che è davvero difficile da realizzare, non sto minimizzando: 10 ore di lievitazione, 36 ore totale di lavorazione per una cottura, particolari forni che garantiscono un calore uniforme e un tasso di umidità adeguato per preservarne irresistibile leggerezza. È un sistema complesso ideato al 100% dal nostro Domenico.
Con l’avvicinarsi del Natale qualcosa di strano sta accadendo in città a mano che le giornate diventano più fredde e più buie tra le vetrine delle pasticcerie del capoluogo Veneto vedono come protagonista il pandoro. Domenico è sconcertato. La sua creazione copiata così impunemente.
Il pandoro è un suo nome e stavano rubando quello che era suo di diritto. Domenico è un guerriero e di certo non si sarebbe arreso senza combattere. Vuole dimostrare a tutti che l’unico vero pandoro di Verona è il suo e il giorno dopo sulla Gazzetta della città c’è un annuncio, 1000 lire saranno consegnate a chiunque riesca a replicare con successo la ricetta del Pandoro Melegatti.
La sfida si sarebbe tenuta di una settimana in un forno della città. Domenico chiude il giornale sicuro che nessuno tra i suoi concorrenti possa anche solo impensierire il suo perfetto pandoro. I giorni passano e la tensione cresce. Il giorno della sfida Domenico ha uno sguardo fermo e sicuro.
Entra nel forno della città come un gladiatore entra nell’arena, manca mezz’ora all’inizio della sfida.
Possibile che ancora nessuno si sia fatto vivo, nessuno entra dalla porta, nessuno si presenta, nessuno ha avuto l’audacia di sfidare il maestro.
Un sorriso si disegna sulla faccia del nostro protagonista, ora tutti lo sapranno, il pandoro è mio. È un tipo moderno e vuole tutelare anche legalmente la sua creazione e il 14 ottobre 1894, Domenico Melegatti, riceve il brevetto e l’esclusività di produzione del Pandoro descrivendone il nome forma e ricetta.
